ESPAÇO
PEDAGÓGICO
DIÁLOGO COM
EDUCADORES
565
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Diálogo com educadores
Diálogo com educadores
Francesco Tonucci
Diálogo com Rosana Coronetti Farenzena
Francesco Tonucci è una delle voci mondiali più attive e influenti quanto
alla partecipazione dei bambini all’ecosistema urbano. Nato in Italia nel 1940, ha
lavorato come insegnante nella decade del 1960, e poi ha fatto il commissario di
pubblica sicurezza all’Istituto nazionale di psicologia del Consiglio Nazionale delle
Ricerche (CNR) d’Italia. I suoi disegni su contesti educativi contraddittoriamen-
te ostili all’infanzia erano diversi dal fatto che portavano sempre la prospettiva
dei bambini e cominciarono ad essere pubblicati su riviste pedagogiche italiane
dal 1968. Le sue satire grafiche, firmate dallo pseudonimo Frato, si sono eternate
come potenti attivatori di riflessione e pubblicate in numerose edizioni nei diversi
continenti. In Brasile spiccano due titoli: “Com Olhos de Criança” (“Con gli occhi
del bambino”), e “A Solidão da Criança” (“La solitudine del bambino”). Noto per
il progetto internazionale “Cidade das Crianças” (“Città dei bambini”), lanciato
nel 1991, il cui obiettivo è trasformare le città in base sulla vita e sui bisogni dei
bambini, ha proposto come alternativa al degrado urbano la trasformazione delle
città a partire dagli occhi dei bambini che ci abitano. L’essenza di questa iniziativa
sostiene che uno dei compiti centrali delle politiche pubbliche sia quello di garanti-
re ai bambini il diritto di giocare. Oggigiorno centinaia di città sono impegnate in
questo progetto. Altre sue opere pubblicate in portoghese sono “Criança se Nasce”;
“A Cidade das Crianças – Uma Nova Forma de Pensar a Cidade”; “Quando as
Crianças Dizem: Agora Chega!”; “40 Anos Com Olhos de Criança”; “Seja bem-vin-
do! Cartas a Uma Criança Que Vai Nascer” – in collaborazione con Maria Novo. Ha
scritto numerose opere pubblicate in italiano e spagnolo, come per esempio “Peri-
colo, bambini: appunti sull’istruzione”; “A come elefante - Alfabetiere per bambini
che non vogliono imparare a scrivere”; “Un sorso dopo l’altro - Disegni e pensieri
per tuffarsi nel mondo dell’acqua”; “Manuale di guerriglia urbana - Per bambine e
bambini che vogliono conoscere e difendere i loro diritti”; “La scuola come ricerca”;
“I materiali - la creta, il colore, il legno nel nido, nella scuola dell’infanzia ed ele-
mentare, in casa”; “Il consiglio dei bambini” ecc. Conferenziere richiesto a livello
Recebido em 14/01/2020 – Aprovado em 21/02/2020
http://dx.doi.org/10.5335/rep.v27i2.11444
566
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Francesco Tonucci - Diálogo com Rosana Coronetti Farenzena
internazionale, si è distinto per numerosi premi, tra i quali “Laurea Honoris Cau-
sa” da università europee e latine come riconoscimento dei contributi nel campo
dell’istruzione e della difesa dei bambini.
Intervista concessa a Rosana Coronetti Farenzena, Dottoressa in Studi del
Bambino all’Università di Minho, in Portogallo, e professoressa della Facoltà di
Scienze dell’educazione all’Università di Passo Fundo.
Sig. Tonucci, Lei è un’autorità mondiale nella difesa dei bambini. Il Suo
percorso, costruito su proposizioni originali, rivela una vitalità ammirabile. I
Suoi disegni firmati come Frato, da decadi provocano dell’autoriflessione ai lettori
dappertutto, sempre con della forza possibile a pochi testi scritti. Sono tante le
Sue iniziative: quella che si è diffusa come un progetto internazionale della città
dei bambini; le ricerche, le conferenze; i libri, insomma, tutta la Sua produzione è
ispiratrice e potente. Riprendendo l’iconico “Con gli occhi del bambino”, ha l’idea di
come conserva splendente questi occhi da bambini, che gli permettono la sensibilità
interpretativa e di dialogo dispari, cioè, la capacità di realizzare il desiderio della
coerenza nell’atteggiamento con i bambini, soggetti attivi e lucidi, bisognosi di
un’appartenenza libera, creativa e trasformatrice nel mondo?
All’inizio del suo libro “Il Piccolo Principe” Antoine de Saint-Exupéry scrive:
“Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano).”
Il primo suggerimento per non tradire le aspettative e le esigenze dei bambini
che incontreremo nella nostra vita tanto come genitori, come insegnanti o
semplicemente come adulti è non dimenticarci della nostra infanzia. Ricordare
cosa ci faceva felici e cosa ci faceva soffrire per fare rendere felici e non far soffrire
i nostri bambini. Il secondo suggerimento è ascoltare i bambini. Quando noi ci
dimenticheremo della nostra infanzia, e questo è molto probabile e frequente, se
sapremo ascoltare i bambini, loro ce lo ricorderanno.
Non ce n’è nessun’esagerazione quando si parla della diffusione, fra i continenti,
delle Sue idee e della Sua opera, non essendo possibile citarne questioni come i diritti
dei bambini, la qualità della scuola materna ed elementare e tutti gli altri contesti
inerenti ai bambini senza ricordare il Suo nome. A cosa attribuisce la potenza e la
solidità del messaggio della Sua opera?
Non lo so, me lo domando spesso anche io e spero che qualcuno un giorno
sappia spiegarmelo. Non credo che questa mia confessione sia un atto di falsa
567
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Diálogo com educadores
modestia, ma un sincero stupore. Ho sempre pensato di dire cose di senso comune,
di non aver inventato niente né sull’educazione né sul rapporto con i bambini. Ho
avuto la fortuna di conoscere bravi maestri e ho divulgato le loro esperienze. Ho
cercato di non dimenticare la mia infanzia e di ascoltare le bambine e i bambini e
ho cercato di difendere le loro esigenze e le loro richieste. Proporre che gli adulti
debbono amare i bambini e rispettare le loro opinioni mi sembra che debba essere
considerato senso comune; così come affermare che l’educazione tanto familiare che
scolastica debba avere come obiettivo la felicità dei figli e degli allievi. Denunciare
quando questo non avviene è ancora una conseguenza ovvia e di senso comune. Che
affermazioni di senso comune vengano tanto apprezzate e premiate sinceramente
mi mette a disagio e mi mette anche un po’ di paura. Significa che il buon senso
comune si è perduto.
A quale tappa della Sua vita si è reso conto della consapevolezza di una società
centrata sull’adulto, con pratiche naturalizzate di padronanza intergenerazionale
sull’infanzia, e ha preso l’impegno etico di trasformare la negatività incollata a
coloro che “non sanno, non possono, non devono, non sono preparati/emancipati...”?
Nel 1991, quando il Comune di Fano, mia città natale, mi chiese di assumere
la direzione scientifica del progetto “La città dei bambini” il primo obiettivo che
proposi al sindaco di raggiungere fu che i bambini potessero di nuovo uscire di
casa senza essere accompagnati da adulti. Una esperienza che fino a pochi decenni
prima era assolutamente normale per tutte le bambine e i bambini era diventata
impossibile. I genitori avevano paura della città, i bambini non potevano più vivere
adeguatamente la loro esperienza più importante: il gioco. La città aveva scelto
l’adulto, maschio, lavoratore e si era dimenticata di chi non era adulto, maschio e
lavoratore. Si era dimenticata della maggioranza dei suoi cittadini e aveva accettato
di diventare la città delle auto (il giocattolo preferito di quel cittadino privilegiato)
invece che della persone. Da qui la proposta di cambiamento che il nostro progetto
presenta ai sindaci: cambiare il parametro, dall’adulto al bambino, nella certezza
che una città adatta ai bambini sarà migliore per tutti.
Fra le Sue opere, ce n’è qualcuna che abbia un senso speciale per Lei?
Difficile e ingiusto per un padre scegliere fra i suoi figli. Mi sono sempre
rifiutato non solo di dire ma anche di pensare se preferisco uno dei miei tre figli e
se ci penso sono sicuro che non c’è. Ogni libro e ogni vignetta ha una sua storia e
568
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Francesco Tonucci - Diálogo com Rosana Coronetti Farenzena
nel momento che l’ho scritto o l’ho disegnata era per me una cosa importante. Poi
evidentemente alcuni libri e alcune vignette hanno avuto un peso più importante e
hanno creato un dibattito o un seguito più rilevante di altri. Ma non sempre il loro
successo corrispondeva al mio interesse per loro. Insomma anche i libri e i disegni
si comportano come i figli, hanno una loro vita, spesso diversa da quella desiderata
dai genitori e dagli autori.
Quale feedkback riceve dai lettori dei Suoi libri? Basicamente sono studenti
che devono conseguire l’abilitazione all’insegnamento? Insegnanti? I bambini Le
hanno già detto qualcosa su questo argomento?
I miei libri hanno avuto una notevole diffusione, specialmente nei paesi di
lingua spagnola e sono entrati sia nel circuito educativo formale sia in quello
familiare, ma anche in quello amministrativo delle città e tecnico dell’urbanistica
o della pediatria. Mi è capitato di ascoltare persone che mi dicevano che dopo aver
letto un libro avevano deciso di diventare insegnanti o di avere un figlio. Queste
testimonianza mi mettevano paura e mi caricavano di una responsabilità e di
meriti che non credo di avere. Ho spesso avuto anche testimonianze di genitori
che mi raccontano che i loro bambini passano lunghi tempi a sfogliare i libri delle
mie vignette quando non sanno ancora leggere. Questi racconti mi emozionano e
mi fanno pensare che i bambini, anche di fronte a disegni così essenziali, in bianco
e nero, e poco comprensibili, sentono nei miei confronti qualcosa che assomiglia
alla complicità e questo mi piace molto. I bambini mi dicono molto, sempre;
direttamente quando parlo con loro o indirettamente attraverso i racconti dei loro
genitori e insegnanti. Spesso le mie vignette nascono dalle parole vere dei bambini.
La solidità democratica di un individuo, di una scuola, di una comunità e
di una società si rivela nei rapporti che abbiamo con i bambini, come ci rendiamo
conto di garantire o meno il loro diritto alla partecipazione?
La partecipazione di tutti, adulti o bambini, è garantita dall’ascolto. Una
persona partecipa se è ascoltata ed è ascoltata se chi ha potere è in grado di
ascoltare, interessato ad ascoltare e disposto a tiene conto di quello che gli viene
detto. Nel caso degli adulti tutto questo si capisce facilmente perché l’adulto che
ha potere comprende facilmente quello che gli dicono i suoi colleghi adulti e sa
che, se terrà conto delle loro richieste, il suo potere potrà aumentare. perché
considerandosi ascoltati e soddisfatti e gli garantiranno il loro consenso elettorale.
569
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Diálogo com educadores
Ma con i bambini non funziona così. Prima di tutto i bambini non votano e quindi
perdono questa arma nei confronti che chi ha potere. In secondo luogo i bambini
non hanno fiducia nelle loro idee perché sanno che gli adulti si aspettano da loro
che le abbandonino il più presto possibile per giungere ad atteggiamenti e modi di
pensare adulti. Quindi, la reale partecipazione dei bambini avverrà solo se chi ha
potere, nel nostro caso il sindaco, il direttore della scuola, il primario dell’ospedale,
sentiranno la necessità e l’urgenza di conoscere il parere, il punto di vista dei
bambini perché ne hanno bisogno per rendere la città, la scuola, l’ospedale migliori,
adeguati alle esigenze di tutti, a partire dai bambini.
Considerando la propria condizione umana, poiché furono anche loro bambini,
gli adulti avrebbero a loro disposizione risorse interne per non stabilire o non
ripetere interazioni di padronanza, dispettose e abusive con figli, studenti e altri
bambini. Dall’organizzazione di scuole e classi, per esempio, che non fa attenzione
all’espressività corporale, alla mobilità necessaria alla scoperta del mondo, o
ancora l’imposizione di troppi compiti che prendono un bel tempo da apprendimenti
importanti. Questa incoerenza che allontana i bambini dalla loro partecipazione in
città, che mette la vita dei bambini e gli ambienti naturali in lati oposti, potrebbe
essere affrontata e superata o siamo condannati a essa?
Ho già citato la frase di Saint-Exupéry e credo che sia veramente una specie
di maledizione della condizione di adulti: dimenticarsi della propria infanzia e
ripetere con i nostri bambini figli, alunni, vicini di casa, pazienti ecc. tutto quello
che da bambini non abbiamo capito, non abbiamo condiviso e ci ha fatto soffrire:
mangiare quello che non piace, giocare meno del necessario, essere sempre vigilati e
accompagnati, passare ore del pomeriggio a fare i compiti di scuola invece di giocare.
E molto altro. E di fronte a tutto quello che non capivamo e non condividevamo la
frase risolutiva: “Quando sarai grande capirai”. E forse era proprio vero perché da
gradi si fa esattamente come i grandi facevano quando noi eravamo piccoli.
Ci sono tante prove del fatto che l’attuale sistema di istruzione per bambini
non risponde ai loro bisogni di partecipazione, non riconosce e non considera le loro
caratteristiche e capacità, non garantisce ambienti inclusivi in cui tutti possono
crescere, imparare, giocare e consolidarsi pienamente. Anche questo coinvolgerebbe
una scuola che non teme la diversità. Nel caso del Brasile, e non solo, abbiamo
bambini che dai primi anni di vita restano fino a 11 ore al giorno in queste istituzioni.
570
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Francesco Tonucci - Diálogo com Rosana Coronetti Farenzena
Grande parte o la maggior parte della loro infanzia è vissuta in questi spazi con
programmi e routine coordinati da persone ritenute specialiste dei bambini. Quali
principi ritiene fondamentali affinché le scuole siano davvero posti di esperienza
istruttiva, fortemente umanizzate e di applicazione dei diritti dei bambini a tutti
quanti?
Oggi la scuola dei nostri paesi è una offerta educativa la cui frequenza
è obbligatoria perché ritenuta un diritto dei bambini e una esigenza per le
nostre società. Ha una sua precisa proposta definita nelle leggi dello stato e nei
programmi ministeriali. Compito degli insegnanti è proporre quei contenuti nella
forma migliore possibile e compito degli alunni impegnarsi per apprenderli. La
scuola infine valuta se l’impegno degli allievi è stato sufficiente per raggiungere i
livelli indicati e a seconda del risultato di questa valutazione promuove o boccia.
Sembra tutto normale. Così è stato per me più di settanta anni fa, così per i mei
figli e così per i miei nipoti. Bene, tutto questo è illegale. Non solo scientificamente
sbagliato, pedagogicamente scorretto e comunque assolutamente inefficace e
perfino controproducente, ma illegale. La legge brasiliana come quella italiana,
spagnola o argentina e di tutti i paesi del mondo dice che l’educazione familiare e
scolastica ha un obiettivo completamente diverso e in qualche modo opposto a quello
indicato. Infatti l’articolo 29 della Convenzione dei diritti dell’Infanzia approvata
dalle Nazioni Unite bel 1989 e ratificata da tutti i nostri paesi recita: “Gli Stati
parti convengono che l’educazione del bambino deve avere come finalità: a) favorire
lo sviluppo della personalità del bambino nonché lo sviluppo delle sue facoltà e
delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità”. Non quindi
proporre un proprio programma che gli allievi debbono imparare, ma fare in modo
che ciascuno degli allievi (e dei figli) possa scoprire le proprie facoltà, attitudini,
vocazioni, e svilupparle in tutta la loro potenzialità. Se questo non succede la colpa
sarà delle scuola e non degli alunni. Altrimenti la scuola, come diceva don Milani,
rischia di essere come un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati. Vale la pena
notare che quanto scritto in un trattato internazionale come la Convenzione ha un
valore giuridico superiore alla legislazione ordinaria e ovviamente ai programmi e
regolamenti.
Qui in Brasile c’è un’innovazione importante davanti alla meta di formazione
professionale specifica di docenti per l’istruzione, tuttavia, alla facoltà di Pedagogia
c’è un fattore nuovo: la crescita grandissima di corsi di laurea a distanza. Questa
571
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Diálogo com educadores
flessibilità formativa può essere interpretata in diversi modi ed è imposta in un contesto
di reinvenzione dei corsi in classe, consapevoli in misure maggiori o minori della sfida
di presentare risposte e pratiche curricolari adatte ai contributi portati dagli studi
dell’infanzia. Che cos’è indispensabile alla formazione degli insegnanti dell’infanzia?
Quali sono i valori irrinunciabili ai progetti pedagogici dei corsi di Pedagogia?
I nostri paesi pensano che per cambiare le pratiche scorrette o inadeguate sia
sufficiente cambiare le leggi. In Italia quasi tutti i governi hanno ritenuto necessario
o opportuno varare riforme del sistema educativo cambiando la struttura, le
discipline, i sistemi di valutazione. Nei più di cinquanta anni che seguo la nostra
scuola è cambiato tutto parecchie volte a livello legislativo, ma la scuola è rimasta
sostanzialmente la stessa. Quella che oggi frequenta la mia nipotina assomiglia
terribilmente alla mia. Gli unici che possono cambiare la scuola sono gli insegnanti.
Per cambiare la scuola bisogna formare buoni insegnanti e considerare che prima
di tutto il diritto allo studio, assicurato dagli articoli 28 e 29 della Convenzione è il
diritto per ogni bambina e per ogni bambino ad avere un buon insegnante.
Qui ovviamente si apre un capitolo che richiederebbe uno spazio che non
abbiamo: come si formano buoni insegnanti? Mi limito a tre note che potrebbero
essere tre capitoli per successivi chiarimenti. 1. Non tutti possono essere insegnanti,
bisogna saperli selezionare. 2. La loro formazione deve essere coerente con il
modello educativo che pensiamo debbano realizzare (non può continuare ad essere
di tipo accademico con insegnanti in cattedra ed esami di verifica). 3 La professione
docente deve essere socialmente ed economicamente rivalutata come una delle più
importanti per un paese democratico.
Temo che per ottenere questi risultati dei corsi a distanza non siano la
soluzione migliore.
Non è raro che scuole materne adottino un concetto ristretto di ricerca: la
raccolta di informazioni da presentare all’insegnante con l’obiettivo di ottenere del
voto. Il senso di un rapporto appassionato della conoscenza – di portare avanti
un processo di indagine e di condivisione del processo come fattore di promozione
della cultura scolastica – non raramente è secondario, quando non viene anche
ignorato totalmente. Questa cultura scolastica può essere cambiata per migliorare
il rapporto organico con una cultura scientifica fin dall’infanzia?
Non solo fin dall’infanzia ma specialmente nell’infanzia! Dal secolo scorso i
nostri grandi maestri da Freud a Piaget a Bruner ci hanno aiutato a capire che
572
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Francesco Tonucci - Diálogo com Rosana Coronetti Farenzena
gli anni più importanti della vita sono i primi e le neuro scienze moderne lo hanno
confermato. Per questo deve essere chiaro che le cose più importanti non verranno
dopo, ma sono avvenute prima. La massima attenzione, il massimo investimento
culturale e sociale deve essere effettuato nella scuola dell’infanzia e primaria.
Considerando il Suo profondo legame e conoscenza del sistema di istruzione
italiano, quali sono i meriti che riconosce per la scuola pubblica italiana dell’infanzia?
Nel 1991 la scuola dell’Infanzia “Diana” di Reggio Emilia è stata considerata
dalla rivista americana Newsweek la migliore del mondo. Era questo un importante
riconoscimento del grande lavoro fatto dal Comune di Reggio Emilia per le sue
scuole infantili e dal suo direttore Loris Malaguzzi che ho avuto la fortuna di avere
come grande amico e del quale nel 2020 ricorderemo i 100 anni della nascita. I
suoi meriti principali sono stati quelli di liberare l’educazione infantile dalle
strettoie della cura e della protezione, allora ancora molto presente nelle strutture
sostanzialmente assistenziali e custodialistiche della prima infanzia, tutte volte
a preparare i bambini ai primi importanti apprendimenti che sarebbero iniziati
con l’inizio della scuola primaria e gli apprendimenti della lettura e scrittura.
Malaguzzi, più ancora che Montessori, dà una grande importanza ai diversi
linguaggi dei bambini perché ciascuno possa trovare e sviluppare il suo. Perché
non succeda, come dice una sua bella poesia che il bambino ha cento lingue, ma
gliene rubano novantanove!
Lei crede che abbiamo potenziale per trasformare la scuola per pochi in una
scuola per tutti, in un paese con una disuguaglianza sociale brutale come in Brasile?
Questo è l’obiettivo della scuola, altrimenti non è scuola. In un paese di
ingiustizie la scuola deve educare alla giustizia; in un paese di violenze deve
educare alla solidarietà, alla non violenza; in un paese di abusi ambientali deve
educare al rispetto e alla cura dell’ambiente. Lo dice ancora chiaramente la legge,
lo stesso articolo 29 della Convenzione dopo il punto a) che abbiamo commentato
sopra continua dicendo:
b) sviluppare nel bambino il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-
mentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite;
c) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della
sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali
573
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Diálogo com educadores
del paese nel quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà
diverse dalla sua;
d) preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società
libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza
tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi
e delle persone di origine autoctona;
e) sviluppare nel fanciullo il rispetto dell’ambiente naturale.
Lei, Sig. Tonucci, ha l’idea della grandezza della Sua opera tra gli insegnanti
brasiliani, e fra gli studenti della facoltà di Pedagogia? Se invitato a lasciare un
messaggio a questo pubblico, che raggiunge milioni, quale sarebbe?
Sinceramente non conosco questo aspetto. Sono venuto in Brasile poche
volte e sempre per tempi troppo brevi e per partecipare a congressi. Spero nel
prossimo viaggio di poter avere un incontro più diretto e personale sia con il mondo
dell’educazione che con il mondo politico delle città.
Per concludere e con molta gratitudine per questo momento di attenzione a
questa edizione della Rivista Spazio Pedagogico, che verrà letta da migliaia di
brasiliani, cosa possono sperare i bambini dagli adulti? C’è speranza di convivenza
democratica nella sua essenza?
Che il loro amore si manifesti più nel rispetto, nell’ascolto, che nel consumo.
Nella società di oggi sembra che tutto si possa comprare e pagare. Se stiamo poco
con i nostri figli possiamo farci perdonale regalando loro oggetti costosi. Ma quello
di cui i bambini e le bambine hanno bisogno dai loro genitori, dai loro insegnanti
e dai loro sindaci, sono cose che costano poco o non costano nulla e sono frutto di
affetto e di fiducia. Hanno bisogno che i genitori sappiano capire le loro esigenze
e che li aiutino a trovare la loro strada nella vita. Che abbiano fiducia nelle loro
capacità e li lascino uscire di casa per giocare con i loro amici piuttosto che iscriverli
a tanti corsi pomeridiani che costano soldi e servono poco. Hanno bisogno che i loro
insegnanti li aiutino a sviluppare le loro vocazioni, ad usare i loro linguaggi preferiti
per trovare e sviluppare la loro vocazione. Che lascino loro liberi i pomeriggi, i
fine settimana e le vacanze senza compiti per casa, per esercitare il loro diritto al
gioco garantito dall’articolo 31 della Convenzione. Hanno bisogno che i loro sindaci
restituiscano loro lo spazio pubblico che oggi viene regalato quasi completamente
574
ESPAÇO PEDAGÓGICO
v. 27, n. 2, Passo Fundo, p. 585-594, maio/ago. 2020 | Disponível em www.upf.br/seer/index.php/rep
Este artigo está licenciado com a licença: Creative Commons Atribuição-NãoComercial-SemDerivações 4.0 Internacional.
Francesco Tonucci - Diálogo com Rosana Coronetti Farenzena
alle auto, perché quello è lo spazio giusto per i loro giochi. Le città potrebbero
risparmiare i soldi necessari per attrezzare gli spazi di gioco per lasciare che siano
i bambini stessi a decidere quando, dove e come giocare (essendo un loro diritto).
I bambini vogliono sperare che quando gli adulti prendono un impegno
lo ricordino e lo assolvano. Sono trenta anni che aspettano che si rispettino gli
impegni presi con la Convenzione dei diritti dell’Infanzia!